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Channel: CINEMAFRICA | Africa e diaspore nel cinema
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Roma 9. Dólares de Arena

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Le spiagge della Repubblica Domenicana sono ancora una volta lo scenario nel quale si muovono i personaggi di Dólares de Arena, ultimo lavoro della coppia, nel cinema e nella vita, formata da Laura Amelia Guzmán e Israel Cárdenas. I registi, entrambi classe 1980, sono arrivati a Roma per presentare il loro ultimo film al Festival Internazionale del Film di Roma, accompagnati da una delle due protagoniste, Geraldine Chaplin. Registi e attrici erano reduci dalla calorosa accoglienza tributata loro all'ultimo Festival di Toronto e al Festival di Chicago dove Geraldine Chaplin ha ricevuto il premio come miglior attrice. Guzmán e Cárdenas, registi e sceneggiatori di Dólares de Arena, si sono liberamente ispirati al romanzo Sand Dollars dello scrittore francese pieds-noir Jean-Noël Pancrazi.

Le splendide spiagge di Las Terrenas nelle Repubblica Domenicana sono piene di turisti europei che cercano di fuggire dal loro mondo. Tra questi un uomo che dice addio alla sua “ragazza domenicana” perché costretto a tornare, suo malgrado, a casa. L'uomo regala una collana alla ragazza come pegno del suo amore e in ricordo di lui e se ne va. La giovane si chiama Noelì e ha un fidanzato che vorrebbe fare il musicista: i due appena possono vendono la collana e prendono i soldi. Noelì si prostituisce per sopravvivere. I due giovani hanno dei sogni e hanno un piano per provare a realizzarli: Noelì ha una relazione con una matura donna francese, Anna, che ha deciso di passare gli ultimi anni della sua vita a Las Terrenas. Noelì finge che il suo ragazzo sia in realtà suo fratello per fare in modo che Anna la porti con sé in Francia dove potrà trovare un lavoro e inviare anche denaro al suo ragazzo. Tutto si complica perché il rapporto tra Anna e Noelì diventa sempre più confuso tra convenienza e vera intimità.

Nel 2010 Guzmán e Cárdenas hanno fatto il giro del mondo con Jean Jentil, menzione speciale nella sezione Orizzonti della 67. Mostra di Venezia. Il film raccontava la storia di un professore che da Haiti si reca a Santo Domingo in cerca di lavoro. Il peregrinare infruttuoso dell'uomo è un pretesto per mostrare una situazione complicata, anche alla luce del terremoto che ha messo in ginocchio l'isola. I due registi continuano la loro indagine sulla società e sulla realtà della Repubblica Domenicana: Dólares de Arena è dunque in parte un ideale proseguimento di un percorso intrapreso con Jean Jentil. Noelì e il suo ragazzo vivono in una baracca, sognano una vita migliore e per sopravvivere Noelì deve fare la “ragazza di compagnia”. L'amore di Anna nei confronti della bella e giovane Noelìè compreso solamente dai suoi amici altoborghesi che come lei si rifugiano sulle spiagge domenicane in ville lussuose dove tutto si ferma. Anna è sola, il figlio non le parla e non si scopre mai il perché, rinasce con Noelì e si ferisce con un sentimento che nel fondo del suo cuore sa essere finto perché, almeno in parte, “comprato”.

Dólares de Arena mette in luce un rapporto delicato tra due donne ma nel far questo mette troppo da parte lo squilibrio che è alla base di tutto. Anna e Noelì vivono in un mondo dove l'impronta coloniale è ancora forte e salda e nel quale l'Europa e i suoi soldi possono comprare tutto. L'analisi di quest'universo legato all'attrazione puramente esotica dei corpi di giovani uomini e di giovani donne da parte di mature signore e anziani signori provenienti dal vecchio continente, si trova in questo film come in molti altri girati in precedenza, tra cui, solo per citarne uno, Verso sud (2005) di Laurant Cantet, presentato sempre al Festival di Roma nel 2006.

Anna, interpretata da una composta e delicata Geraldie Chaplin che si mette a nudo in tutta la sua fragilità, si lascia portare via tutto, denaro e amore, consapevole che il suo potere di ricca donna francese può comprare tutto e può ottenere persino i documenti per Noelì, è allo stesso tempo il suo punto debole: Anna cerca la vita nella forza, nella bellezza e nella giovinezza di Noelì, ma non può ottenere, nonostante i suoi poteri di ricca donna, tutto quello che vuole, solo uno sprazzo di felicità momentanea. Il rapporto tra le due donne è un continuo alternarsi di amore, affetto e cinismo.

Dólares de Arena scorre lento nell'osservazione dei corpi nudi, nel mostrare la forza prorompente della natura, e non smuove nulla di quel mondo ovattato, dei ricchi signori arroccati nelle loro ville, seppur spesso circondate spesso da una profonda solitudine: sono uomini e donne che vivono sulle ceneri di una società martoriata e sulla pelle di un popolo umiliato e povero, che non può far altro che derubarli quando ne ha l'occasione.

Alice Casalini | 9. Festival Internazionale del Film di Roma

Dólares de arena
Regia: Israel Cárdenas, Laura Amelia Guzmán; sceneggiatura: Israel Cárdenas, Laura Amelia Guzmán; fotografia: Israel Cárdenas, Jaime Guerra; musiche: Ramón Cordero, Benjamín De Menil, Edilio Paredes; montaggio: Andrea Kleinman; scenografia: Sylvia Conde; interpreti: Geraldine Chaplin, Yanet Mojica, Ricardo Ariel Toribio; origine: Repubblica Dominicana, Argentina, Messico, 2014; formato: DCP/HD, colore; durata: 80'; produzione: Aurora Dominicana, Canana, Rei Cine.

Les Cinémas du monde wants you

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La Fabrique des Cinémas du Monde è un'iniziativa del Festival di Cannes che ogni anno offre la possibilità ad alcuni registi, provenienti da Africa, Asia, America Latina, Europa centrale e dell'est e Medio oriente, di presentare i propri progetti di film e di incontrare operatori internazionali del mercato.

La Fabrique cerca progetti per la prossima edizione del Festival di Cannes, prevista dal 13 al 24 maggio 2015. Verranno accettati esclusivamente progetti di film o documentari (ma non a destinazione televisiva), il cui regista provenga da una delle aree indicate e sia al primo o secondo film, si appoggi a un produttore con alle spalle almeno un corto o un lungo prodotto negli ultimi cinque anni, e parta da un budget inferiore a tre milioni di euro.

Per maggiori informazioni, si può seguire il link.

New Waves al Festival di Cinema Africano di Verona

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Verona è stata la prima città in Italia a proporre un focus sul cinema africano, nel 1970. E ora il Festival di Cinema Africano - che inizia venerdì 7 e si svolgerà fino al 16 novembre - è giunto alla sua 34esima edizione, grazie a una manifestazione che si configura sempre più come un mosaico di collaborazioni, stimoli, immagini ed emozioni che attraverso lo schermo si riversano sul tessuto sociale e lo rivitalizzano.
Come tutti coloro che si occupano di cinema e Africa sanno, non è sempre facile guardare il continente africano con uno sguardo libero da visioni distorte, condizionate dagli equilibri, a volte espliciti ma per lo più nascosti, che la politica, l'economia e l'informazione determinano e veicolano. Di qui la necessità e il piacere di posare l'attenzione sui film e sui registi che più lavorano sugli intrecci, gli scambi, le ibridazioni e gli attraversamenti di ogni frontiera, reale o immaginaria che sia.

«Guardare alle new waves del cinema africano significa, pertanto – così recita la bella presentazione del festival – porre attenzione alle produzioni metropolitane, ai nomadi-viaggiatori-migranti, in sostanza agli afropolitani, come vengono spesso definiti i giovani autori e artisti di origine africana, vissuti ed emigrati nelle più grandi capitali del mondo. Significa fare emergere in questi registi l'esigenza di sperimentare nuove modalità di espressione e generi, il desiderio di uscire da un itinerario cinematografico ben definito. In tutto questo c'è anche la libertà di proporre un nuovo approccio in rapporto all'immagine, senza dimenticare i nuovi assetti produttivi e distributivi, ideati da molti giovani, dalle strategie di finanziamento come il crowdfunding (finanziamento collettivo) alle nuove modalità di distribuzione in rete, che hanno permesso a molti autori di esprimersi diversamente, perché il cinema, come la vita, non è mai statico ma lascia spazio alle evoluzioni della fantasia».

Tre le sezioni principali e tre gli eventi speciali che caratterizzano il ricco cartellone dei film in programma in questa edizione.

In Panoramafrica troviamo 10 film, di cui 6 in prima visione italiana: Dakar trottoirs di Hubert Laba Ndao (Senegal, 2013), L'esclavage moderne de Fatou di Pepiang Toufdy (Ciad/Francia, 2012), La Marche di Nabil Ben Yadir (Belgio/Francia/Svizzera, 2013), Ni Sisi di Nick Reding (Kenya, 2013), O Espinho da Rosa di Filipe Henriques (Portogallo/Guinea Bissau, 2013) e Printemps Tunisien di Raja Amari (Francia/Tunisia 2014), che segna il ritorno di una talentuosa giovane regista tunisina (Satin rouge, Dowaha).
Già presentati in altri festival italiani e da non perdere sono altri tre film della sezione: Des étoiles di Dyana Gaye (Senegal/Belgio/Francia, 2013), Factory Girl di Mohamed Khan (Egitto, 2013) e Rock The Casbah di Laïla Marrakchi (Marocco, 2013).

Nella sezione Africa Short troviamo altri dieci titoli, molti dei quali in prima visione italiana e che sono già stati apprezzati nei festival internazionali.
Parliamo soprattutto dell'afrofuturista Afronauts di Frances Bodomo (Ghana, 2014), sul progetto spaziale lanciato in Zambia nel 1969; di Twaga di Cédric Ido (Burkina Faso/Francia, 2013), ambientato nel Burkina Faso dell'anno cruciale 1987, anno in cui venne ucciso Thomas Sankara; e di Zakaria di Leyla Bouzid (Francia/Tunisia, 2013), sul tema dell'emigrazione e del ritorno a casa.
Molto interessanti sulla carta anche il corto di animazione Les trois vérités di Louisa Beskri & Adehan Wakili (Algeria/Bénin, 2013) e gli altri cortometraggi della sezione.

Molto eterogenea per formati e durate è la sezione Viaggiatori e migranti, in cui si mescolano film diretti in prima persona da registi di origine africana con altri film in cui registi europei si confrontano con le tematiche della migrazione e della diaspora africana nel mondo.
Tra i titoli più interessanti ricordiamo: (In)visible cities di Gianpaolo Bucci e Beatrice Kabutakapua (Italia / UK / USA 2014), un viaggio attraverso le seconde generazioni e i migranti africani in diverse città del mondo, come Cardiff, Los Angeles, New York e Istanbul; Grooving Lampedusa di Mario Badagliacca (Italia, 2012), che racconta il ritorno di Zakaria Mohamed Ali, rifugiato dalla Somalia, a Lampedusa, dove è sbarcato nel 2008 (e su cui ha realizzato il documentario To Whom It May Concern); Limbo di Matteo Calore e Gustav Hofer (Italia 2014), sui C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) di Torino, Trapani e Roma, e delle famiglie che attendono, in un limbo, di sapere se i propri cari torneranno a casa o saranno mandati via dall'Italia; Orizzonti mediterranei. Storie di migrazioni e violenze di Maria Grazia Lo Cicero & Pina Mandolfo Italia 2014, in cui, attraverso interviste e immagini di repertorio, viene data voce ai migranti e alle loro drammatiche storie per superare le mille difficoltà insite nel percorso migratorio.

Negli eventi speciali, troviamo infine tre film: Andalousie, mon amour! di Mohamed Nadif (Marocco, 2011), la migrazione raccontata attraverso una insolita commedia; Mandela: Long Walk to Freedom di Justin Chadwick (Gran Bretagna/Sudafrica, 2013), il ritratto intimo di un'icona mondiale, interpretato dal divo nascente Idris Elba; Khumba di Anthony Silverston (Sudafrica, 2013), un poetico e divertente film d'animazione che lavora sulla bellezza delle differenze.

Per informazioni più dettagliate sul programma, rimandiamo al sito ufficiale del festival:
http://festivalafricano.altervista.org/festival/

The Book of Negroes al Mipcom di Cannes

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Al Mipcom di Cannes, il più grande mercato al mondo dell'audiovisivo, ha avuto grande successo la miniserie in sei puntate The Book of Negroes, presentata in anteprima mondiale al Palais du Cinema gremito all'inverosimile.
La storia magistralmente girata e prodotta da Canada e Sudafrica, dalla Entertainment One e Idlewild Films, la si vedrà in televisione il prossimo anno ed è molto piaciuta ai compratori italiani di Rai e Sky.
L'affresco, tratto dall'omonimo romanzo best seller e pluripremiato del canadese Lawrence Hill, racconta la storia di una donna, Aminata Diallo, rapita in Africa a 11 anni e tradotta come schiava nell'America ancora occupata dagli inglesi: la vita terribile delle catene e dei soprusi, l'uccisione della famiglia, la speranza della rivoluzione americana, le promesse rimangiate degli inglesi, la vita grama in Sierra Leone e finalmente la libertà in Inghilterra. In effetti, The Book of Negroesè un documento storico che raccoglie i nomi e le descrizioni dei 3000 afroamericani fuggiti ed evacuati dagli inglesi, portati in Nuova Scozia come esseri liberi.
Nel cast della serie, firmata come regista e coproduttore da Clement Virgo (L Word), figurano la bravissima Aunjanue Ellis (The Help), il premio Oscar Cuba Gooding Jr. (Jerry Maguire) e Lou Gossett Jr.
Fonte: La Stampa

[Maria Coletti]

I vincitori dei Trofei Francofoni 2014

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L'assegnazione dei Trofei Francofoni del Cinema arriva quest'anno alla sua seconda edizione.

Creati nel 2013, con l'appoggio dell'OIF, di TV5Monde, del Ministero Francese degli Affari Esteri, di Wallonie-Bruxelles International, della Federazione Wallonie-Bruxelles, di SODEC e di Unifrance Films, la prima edizione aveva premiato La Pirogue del regista senegalese Moussa Touré, che aveva ricevuto il trofeo per il miglior lungometraggio, per la migliore sceneggiatura e per la migliore fotografia. Il Senegal si vedeva riconosciuto anche il premio per la miglior realizzazione assegnato ad Alain Gomis con Tey (Aujourd'hui).

Dieci Trofei sono stati riconosciuti quest'anno, fra i 34 lungometraggi e 12 cortometraggi presentati e provenienti da 20 paesi francofoni. Fra questi anche importanti riconoscimenti a film di registi africani o sull'Africa.

Il Premio per il miglior lungometraggio documentaristico è stato assegnato ex-aequo a Sur le Chemin de l'école di Pascal Plisson (Francia) e a Hercule contre Hermès di Mohamed Ulad (Marocco).

Des étoiles, primo lungometraggio della regista senegalese Dyana Gaye (prodotto in Francia da Andolfi) ha messo in risalto il suo cast, visto che Marième Demba Ly ha ricevuto il Premio per la migliore interpretazione femminile e Souleymane Seye N'diaye quello per il miglior attore non protagonista.

[Maria Coletti]

Get on Up. La storia di James Brown

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Il 25 dicembre del 2006 muore James Brown, leggenda del funky e del soul. Pochi giorni dopo, il 30 dicembre, Spike Lee dichiara di voler dirigere un film sulla vita del re del funcky, partendo da un‘idea di Steven Baigelman scritta in collaborazione con Brown. Solo nel 2012 il progetto di un film dedicato a James Brown viene definitivamente avviato, ma la direzione è affidata a Tate Taylor (The Help, 2011). Hollywood non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di raccontare una storia piena, ricca di contraddizioni e fascino, come quella del padrino del soul. Il prodotto di questo lungo percorso èGet on Up. La storia di James Brown, uscito il 6 novembre in Italia. Il ruolo di James Brown è stato affidato a Chadwick Boseman, giovane attore che dopo diversi ruoli in produzioni per il piccolo schermo approda al cinema affrontando una prova difficile: far rivivere le leggendarie performance vocali e dance di Brown sul grande schermo.

Get on Up racconta la vita della leggenda del funky dall'infanzia povera e difficile nel sud degli Stati Uniti, tra prostituzione, proibizionismo, razzismo e gospel. Un arresto nel 1949 lo porta a uno degli incontri fondamentali della sua vita, quella con Bobby Bird che rimarrà accanto a Brown per anni dalla prima formazione, Gospel Starlighters ai The Famous Flames. James Brown è un personaggio scomodo: gli arresti, uno dei quali durante la famosa esibizione al Teatro Apollo, le tre mogli, le violenze domestiche, la passione per il suo lavoro e il sua partecipazione ai movimenti per i diritti civili. Get on Up prova a mettere insieme tutto questo: la vita di una leggenda e di un'icona della musica del XX secolo.

Il film inizia con James Brown già re del funky e con uno dei tanti episodi che hanno portato al suo arresto, una fuga dalla polizia nel 1988. Da qui lo stesso Brown, diretto allo spettatore introduce il primo di molti flashback. Il film è un insieme continuo di passaggi temporali: si va avanti e indietro nel tempo non seguendo un vero e ordine cronologico ma organizzando i 139 minuti di Get on Up in una serie di capitoli che raccontano le varie fasi della vita di Brown. Chi è James Brown? Si prova a rispondere a questa domanda trovandosi a confronto con uno dei più influenti musicisti del secolo scorso. Il riferimento costante per rispondere alla domanda sembra essere la sua infanzia difficile che l'ha formato, nella quale il biopic ritrova elementi che segnano il carattere di James Brown, dal gospel, alla violenza, fino alla “madre adottiva”. La donna gestisce un bordello; è a lei che l'ha affidato il padre e che mettendo il piccolo James a letto gli dice che un giorno tutti sapranno il suo nome.

Nel racconto della vita di Brown, Get on Up non tralascia riferimenti al contesto sociale con il quale Brown e tutti gli afroamericani si scontrano. Un esempio è la scena in cui una coppia in un hotel si lamenta per la presenza di neri in piscina, salvo poi mostrarli mentre danzano coinvolti dalla musica che proviene dalle prove di Brown e dei suoi musicisti. Non poteva mancare il concerto che James Brown tenne il giorno successivo la morte di Martin Luther King: nel film si mostra la sua determinazione a voler esibirsi, nonostante i dubbi da parte della polizia per motivi di ordine pubblico.
Get on Up prova a mettere insieme gli elementi che compongono la vita forse indescrivibile, sicuramente difficile da comprimere all'interno di un film, di un personaggio ormai passato alla storia della musica come James Brown. Questa difficoltà emerge in parte nel film dove alcuni elementi, come quello dell'attivismo di Brown sono toccati solo in parte.

Alice Casalini

Get on Up. La storia di James Brown
Regia: Tate Taylor; sceneggiatura: Steven Baigelman, Jez Butterworth, John-Henry Butterworth; fotografia: Stephen Goldblatt; musiche: Thomas Newman; montaggio: Michael McCusker; scenografia: Mark Ricker; costumi: Sharen Davis; interpreti: Chadwick Boseman, Tika Sumpter, Craig Robinson, Dan Aykroyd, Octavia Spencer, Viola Davis, Nelsan Ellis, David Andrew Nash; origine: USA, 2014; formato: HD/DCP, 1.85, Dolby Digital; durata: 139'; produzione: Imagine Entertainment, Jagged Films, Wyolah Films; distribuzione: Universal Pictures; sito ufficiale: getonupmovie.com; sito italiano: getonupmovieintl.com/it

Film, Africa, blacks. A conversation with Joy Nwosu

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This week Cinemafrica shares with you the integral version of a conversation with Joy Nwosu Lo-Bamijoko, a Nigerian-born soprano and ethnomusicologist, based in Los Angeles, who released in 1968 a book in Italian called "Cinema e Africa nera" for roman editor Tindalo. This book has been recently re-edited with the title "Cinema e Africa" for Aracne editrice.
“Cinema e Africa” is currently available in paperback format and can be ordered exclusively via Aracne editrice through this link.
This conversation has been realized in a written form via e-mail on July 2014, and included in the book, but translated into Italian and in a shorter version
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When you came to Rome, with a scholarship offered by your Government, it was 1962, you were 22 years old and your aim was to have an academic training in music and vocal performance, was it? But why did you choose Rome and not for instance London or New York when you would have found less difficulties for the language?
That is a good question. I already had admission to study at the Royal College of Music, Dublin when I was offered my scholarship. I was advised, however to audition, and try to get into the school of music in Rome because Rome was, and still is, where to study bel canto. So on my way to Dublin, I stopped in Rome to audition for Santa Cecilia, and was admitted. I then stayed to study in Rome.

What was your first reaction when you found yourself in Rome in 1962? Did Italy reflect your expectations?
My first arrival in Rome, Italy was traumatic. I was a twenty two year old girl, who spoke only English in the midst of people who spoke a language I did not understand. In my world, if you did not speak English, you were considered illiterate. So I thought that all Italians were illiterate. Of course with time, I started to understand that there are different peoples with their different languages in the world.

How have you been received at conservatorio and in university? Did you feel some bias touching you as a young, female, African-born student? Did you notice some changes in the average feeling of Italians toward people of African origins during the period of your staying in Rome, up to 1972, not only in those institutions but in the orientation of common people?
The reaction of the Italians to a black woman was different to the reaction of the English to a black woman. I was used to the indifference of the English, but was not prepared for the curiosity of the Italian. The Italian wanted to touch, feel and interact with me out of curiosity. When I learned to speak the language, after a few years, the curiosity turned into acceptance. To my very close friends, color did not matter anymore, but for those who did not know me, the curiosity continued.

You got your voice diploma after three years of study at Conservatorio di Santa Cecilia (1962-65) and then decided to enroll to Pro-Deo University, following a three years program in Mass Communication, specialization cinematography. Cinema e Africa Nera was originally a final thesis conceived to end this experience. Why did you choose communication and film studies and how did it came to you the idea to dedicate your thesis to the image of blacks in cinema and to African cinema?
My Diploma in communications was for a specialization in Cinematography: Script Writing. The course required us to write our own scripts, discourse, analyze, and criticize the scripts of our class mates. In the end, we were required to write a thesis as our final project. In those days, there was not much going on for blacks in the cinema world, especially for the African blacks. So, for my final thesis, I decided to probe this almost total absence of cinema presence in black Africa. My probe let me to some very eye opening discoveries. The Senegalese, I discovered were at the forefront of cinematography in black Africa. My research was extensive as you can see from the tract, and quite inclusive. I tried looking not only at the presence of black Africa in cinematography, but at the presence of blacks in general. My thesis was supposed to be my contribution towards black presence in cinematography.

What was your experience of film in Nigeria before coming to Italy? Were you a moviegoer? Which kind of film did you love the most?
I was an avid moviegoer in Nigeria before I went to Italy, and I saw every film that was available to us, mostly Indian films and cowboys films. I saw Quo Vadis for the first time in Nigeria when it first came out, and some of the first Technicolor films of those days. I enjoyed Charlie Chaplin's black and white silent movies too.

How do we come from the thesis to the book published by Tindalo in november 1968? Who did suggest you the possibility of a publication?
Before graduation, I had met Giovanni Vento, and we became friends. He was the person in charge of finding and choosing specials for films at Cinecittà at the time, and I and some of my Nigerian compatriots, usually went to Cinecittà to act as specials in films to augment our scholarship funds. There, I met Giovanni. By the time I graduated, we were very close and had become a couple. He was the one who saw the potentials in my manuscripts after I graduated and encouraged me to turn them into books. He got me all the help I needed in publishing the books. His friends in the cinema world rallied around to give the books the push that they needed. I did two interviews with two magazines when the books were released. Those were exciting days for me.

How did you get in contact with the film critic Mino Argentieri, that was to be the author of your foreword?
Mino Argentieri was Giovanni's friend. I cannot remember him now, but I think that I must have been introduced to him by Gianni, that's what we called Giovanni. I was Gianni's treasured companion, he treated me like an African princess that I am. At the same time, he used his influence to get things done for me with regards to those books.

When you did write “Cinema e Africa Nera”, the issue of the image of blacks in the movies was quite absent in Italy but relatively new even in US. There was the pioneering “The Negro in Films” published by Peter Noble in London in 1946 and was translated in Italian ten years later thanks to Lorenzo Quaglietti, and there were some articles by Romano Calisi, and some other article in French but no works of reference, Noble aside, and things were even more difficult for the other issue, the birth of African cinema, you had just the Film History by Georges Sadoul, some articles by Vieyra and Rouch and that was all. How did you manage to develop your research without a consistent bibliography? Who was your official referee at the University?
I was quite lucky at the time I finished my studies and with two manuscripts in my hands which were well considered. Gianni's friends at that time who were also my friends, were somewhat awed at the fact that I could write a book, not to talk of two books. Even the publisher Tindalo, whom I was introduced to, did not waste any time in accepting the books for publication. We had gone to see him for the book on cinematography. When he saw me, a black woman, an African, and learnt that I wrote the book, he accepted to publish it there and then. On our way out of his office, Gianni casually mentioned that I had written another book which might interest him after he had published the first one, and he called us back to discourse it. I told him the summary of the story, and he accepted to publish that too. I got help for my research from the most unlikely sources; from words of mouth, from old newspapers and magazines, from old films, any films that starred blacks, and from books. I had a lot of help.

In your introduction, you salute the fact that finally you can meet African students of cinematography in European capitals. Did you actually meet some of them in Rome? What about black actors working as extras or in little roles in the Italian cinema: did you have occasion to meet some of them? What on Nigerian community in Italy? Was there a consolidated presence of Nigerians studying and working in Italy at that time?
I was amongst the first batch of Nigerians studying in Rome at that time. We were very few and we knew ourselves. We formed an association, and met once a month to discuss our problems, to compare our check lists, and to help anyone who was in need. This is how we knew when to go out for extra jobs or not. Most of us in Rome at that time were students. We had a few working at FAO, just a family I could remember, and our Embassy at the time was very protective of us. They organized socials for us, and we were invited to all important happenings at the Embassy.

In your chapter about European and American films on Africa, I was very struck by a passage in which you underline the strong continuity existing between fascist colonial cinema and Italian cinema of 60s concerning Africa, included also films made by authors like Antonioni.
“Ecco: noi non crediamo si sbagliare se riteniamo che fu a questo tipo di cinema che si ispirò quello di Africa addio, Violenza a una monaca, Violenza segreta, Congo vivo, così come non pensiamo di sbagliare se affermiamo che fu dai film di Camerini, di Alessandrini, di Genina che nacquero quei documenti come Eva nera, Mal d'Africa, Continente perduto, sul mal d'Africa – questo sì un contributo razzista veramente originale – da cui non si salvò neppure certa produzione di qualità (L'eclisse di Michelangelo Antonioni). Perché il fascismo, nella sua sintesi sentimental-cattolico-guerriera, fu un fenomeno sinceramente italiano: e un fenomeno che dura.”
Am I wrong or it was very uncommon to find in the Italian film criticism of that period statements so harsh regarding the legacy of colonialism and fascism in contemporary Italian culture and cinema? What was the reaction that your “Cinema e Africa nera” met in the Italian film press?
When I spoke about the Italian curiosity towards the blacks, it was the type of curiosity that you see between a human and an intelligent animal. Something di quasi umano, but not human. I had access to a lot of films on blacks at the time of my writing, and I saw that type of curiosity all through those films. I was a fire brand at the time of my writing, and I remember that the excerpt you sent, and thank you for sending it, caused a lot of arguments between Gianni and me. We quarreled over it. Gianni believed that it will bring about repercussions from the cinema community. The fact is that, I was speaking the truth. I know what I saw in the films I watched, and I aptly interpreted what I saw. That was one aspect of my writing that I was not ready to compromise, interpreting the truth.

I was also very impressed by the passage that you dedicate to what you called «il contributo degli afrodoppiatori» underlining how Italian dubbing actors were effective in translating into Italian the American slang spoken by black in the South in films like “Gone with the Wind” reinforcing in a paroxystic way old stereotypes like those of the mammy, the coon, the uncle Tom. Even that passage, I guess it was mostly something that came from your personal sensibility. I can't find any awareness of that in the Italian film criticism of the period…
Although I was not Italian, and the Italian language was not my primary language, I took some liberty in coining my own Italian words to describe what I could not express adequately in the Italian language. That was how words like “afrodoppiatori” came about. Yes, the Italian dubbing actors were very good in finding adequate Italian words to match their English counterparts.

In your approach to the issue of the image to black in Hollywood and Italian cinema you can feel a radicalism that was probably also the expression of the spirit of the time. “Cinema e Africa nera” was released in the autumn 1968, a very hot season for the young people, women and black in Europe and in US: demonstrations and riots against the Vietnam War happened every day, universities and factories were occupied, and in US the civil rights movement was facing a crucial moment after the assassination of Rev. King. What was your feeling at that time, did you feel personally involved in the “1968 movement”? I'm asking you this as in a way I guess the places you frequented in your first period in Rome, more related to the Catholic church, were not exactly leftist or radical…
Now you can understand the spirit and times of when I wrote Cinema e Africa Nera. I was completely immersed in the spirit of the time. The death of Dr. King was like the death of all the struggles of emancipation for the blacks. I was among the angry blacks looking for how to strike out. I was hurting like all the blacks were hurting, and I was not ready to compromise. I saw things as they were, and still are to some large extent. That is how my title, Io odio, Tu odi was born. I wasn't a leftist, I was just a radical, still am, if you follow my blog at jinlobify.com, you will see that I have not stopped talking when there is the need to do so.

Your last chapter is dedicated to black African cinema that at that time was at its very beginning. How did you manage to watch first African movies by Sembene and other directors and what was your feeling towards those films?
I watched all the film by the then black directors because I was given access to them through my connections. I was impressed by the efforts of the Senegalese and Gambian directors, but their films were rather dull, not much action, and I attributed that to the fact that they did not have access to film effects that the modern day black directors have.

Before publishing “Cinema e Africa Nera” in 1968 you had even an experience of actress in an independent Italian movie called “Il nero”, directed in 1966 by a director making his professional debut, Giovanni Vento. Notwithstanding the good press received in Italy after some screenings in film festivals, “Il nero” was never commercially released and so stands even today as unknown to the majority of film scholars. It was indeed very interesting as it was filmed in Naples, and the main actors were actually, a part from you, two non-professional boys, sons of black GIs fighting in Italy during the WW2: but aside from the subject of “brown babies” that was highly original for those years, the style of film resembled that one of some coeval films by Bertolucci and Bellocchio, and also some other titles from French and American New Wave. What is your memory of this experience?
Before publishing Cinema e Africa Nera, I had years of experience acting as a special in films like Cleopatra, with Elizabeth Taylor, La decima vittima, which starred Ursula Andress, and many other films. I cannot remember their names. Gianni had written his script years before we met, and had difficulty finding a producer. When we became friends, we both supported each other and that helped us to get things done. He will flash me to potential producers as the protagonist for his film, and all I had to do was smile and agree. Not too long, he found, I believe, Armando Bertuccioli who agreed to produce the film. Finding the other characters was easy. I don't believe any of us was paid for acting in the film. I know I was not paid, I did it only to help Gianni. You mentioned the fact that Vento was a sort of editor for “Cinema and Africa Nera”. In your text you emphasizes the importance of “Il nero” and of the short documentary “Africa in casa”, in which the case of some black people living in Italy is explored. Could you explain what was actually the role of Vento in the book?
Gianni was a little more than just my editor. I had already graduated with Summa Cum Lode from Pro Deo University, when Gianni got interested and wanted to take another look at my thesis. It was then he told me that the manuscript had potentials, and advised me to expand my search. He offered me all the help I needed and helped me get the informations I needed. He actually helped me with the search. I remember that we had many occasions of argument, during which he disagreed with the way I said something, and I disagreed with his suggestion on how I should have said it. Sometimes, I had to explain to him what I really meant, and he will tell me the best way to say it nel parlare italiano. In other words, my best Italian expressions in the books, were Gianni turning my worse Italian expressions into the way it should be said nel bel parlare italiano.

You published for Tindalo as well a sort of autobiographical novel called “Io odio tu odi”. That was after “Cinema and Africa nera”. You did mentioned the fact that originally it was written as a scenario for a film to come. How did it come to you the idea to write a scenario for a film? And how then did you decide to publish it as a novel, with a preface by journalist and writer Franco Prattico?
I have answered part of this question elsewhere, but I want to stress the fact that I studied Cinematography, and specialized in script writing, film scripts. The course of study required each student to write a film script as one of the projects, Io Odio, Tu Odi was that project, just as Cinema e Africa Nera was my final project.

As a matter of fact you were in Rome to complete your education in music attending lesson in university and in the conservatory. I guess the best of your energies were devoted to music. Nonetheless you invested a huge amount of energy to film, if we sum the thesis, the two books, and the performance for “Il nero”. Were you intentioned to pursue this interest later, once come back to Nigeria in 1972?
This also is a very good question. While I was studying music in Rome, opera for that matter, I realized that we did not have any operatic traditions in Nigeria. “What will I do as an operatic singer in Nigeria?” I started asking myself. We did not even have theaters for classical music performances at the time, our national theater and the MUSON's (Musical Society Of Nigeria) music complex were then non existent. I had to study something that would at least give me a job when I returned, so cinematography was it. I figured that I could work in Radio or Television with my Mass Communications certificate, and that was exactly what happened. I was a Radio producer for three years in Lagos, Nigeria when I returned before I was hired as a University teacher at the University of Lagos when a new music department was started there. I was one of the pioneer lecturers there.

In Nigeria you pursued a wonderful artistic career as a classical and modern singer, reaching a huge popularity thanks to concerts, records, TV shows. You managed also to reach a good position at University of Lagos, being the unique female lecturer, after some important scholarship of great relevance for ethnomusicology and a prestigious PhD in University of Michigan in 1981, but you were forced to find your way in US in 1996, for the envy and hostility of some male colleagues at university. In Italy, in Nigeria and in US you had to fight to defend and promote your talent as a singer and as a scholar. With hindsight, and comparing the situations you could personally live, do you esteem that Italy was in the 60s a place where a young, female, Black artist could find a way to express her own talent? What would you advise to many young aspiring artists and performers of Black origin who today face serious difficulties to work in the Italian show business (cinema, TV, music) and are tempted to emigrate somewhere else?
Thank you very much for the acknowledgement. I cannot say that Italy in the 60s was a place for a young, black, female artist to express her talent. It was not that easy for me. Every Italian man, old or young wanted a pound of my flesh. Even a doctor I visited for some female problem wanted to have sex with me before treatment. It was not safe for me. The only way I could protect myself was to latch on to somebody for protection, and that's where Gianni came in. With him by my side claiming that I was his fiancee, and sometimes that I was his wife, I felt fairly protected. Yet, men still found ways of cornering me and asking for sex. You know what the Italian men are, especially with foreigners, but more so with black female foreigners.
To be a performers anywhere in the world for a woman is to face all kinds of abuses. It is still a man's world, and women do not have much options. It is not a world where a woman can go it alone. From the very beginning, the woman must make sure to have a powerful sponsor behind her, or it will be a rough ride.

Did you follow in a way the evolution of African cinemas? What is your opinion about Nollywood?
Yes, Nollywood has come a long way. It started very roughly, and has now blossomed into world class film industry. We have Nollywood films now films now that can rival even Hollywood films. I could still remember Eddy Ugboma's films with their rough edges, but those where the films that opened the floodgate to what we call today, Nollywood Cinema. We have a lot of charlatans out there too, people who believe that it takes the ownership of a camera to be a film maker. These people are gradually giving a bad image to a young and straddling film industry. In the whole, Nollywood has made big strides, and they are here to stay and grow.

La nostra Africa al cinema Trevi

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Venerdì 21 novembre alle 19 il cinema Trevi della Cineteca Nazionale ospita un incontro con Maria Grazia Lo Cicero, Pina Mandolfo, Anna Bandettini, Cécile Kyenge, Enza Malatino dal titolo "La nostra Africa", organizzato da Giulia - Rete Italiana delle Giornaliste. Dopo l'incontro, verrà presentato il documentario Orizzonti mediterranei, storie di migrazione e di violenze di Pina Mandolfo e Maria Grazia Lo Cicero (2014, 50').

«Abbiamo voluto dar voce al calvario dei migranti e delle migranti. Volevamo strappare loro storie di dolori. Non è stato facile. Spesso ci è stato opposto il silenzio. Un silenzio, talvolta, imposto da altri. Coloro che hanno accettato di parlare ci hanno narrato l'indicibile. Ma la loro parola non giova a dar parità a rapporti umani diseguali. Ad avvicinare codici culturali troppo differenti. A impedire tutele, ricatti, terrore, violenze. Non giova la loro narrazione se prima non rompiamo il nostro silenzio e il silenzio e l'abuso che circonda i loro pellegrinaggi fin oltre gli approdi. Il silenzi di chi, da altri mondi, non opera per rimuovere le cause delle partenze» (Mandolfo-Lo Cicero).
Il documentario è stato proiettato, in anteprima, nella serata inaugurale della Mostra del Cinema di Pesaro, nei festival "Il Vento del Nord" e "Lampedusa in festival", in concorso al Festival del Cinema Africano di Verona.

[Leonardo De Franceschi]


Verona 34. Un palmarès tutto al femminile

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La 34 edizione del Festival di Cinema Africano di Verona (7-16 novembre) si è chiusa, sancendo il valore e il talento delle giovani cineaste africane, protagoniste assolute in tutte le sezioni competitive.
Qui di seguito riportiamo il palmarès dell'anno.

Per la Sezione PanoramAfrica il lungometraggio scelto dalla giuria come vincitore èPrintemps tunisien (prima visione nazionale) di Raja Amari. Una menzione speciale va a Des Etoiles di Dyana Gaye.

Per la Sezione AfricanShort il cortometraggio scelto dalla Giuria come vincitore èSoko sonko (prima visione nazionale) di Ewka Msangi-Omari, mentre una menzione speciale va a Zakaria di Leyla Bouzid e ad Afronauts di Frances Bodomo.

Per la sezione Viaggiatori&Migranti il documentario scelto dalla Giuria come vincitore èLes Messagers di Hélène Crouzillat e Laetitia Tura. Una menzione speciale va ad Aissa di Clement Trehin-Lalanne

Il premio della giuria di studenti africani dell'Università di Verona va a Des Etoiles di Dyana Gaye.
Il premio Il Coloombre/Giuria Spazio Scuola ENAIP è stato attribuito a La Marche (prima visione nazionale) di Nabil Ben Yadir.
Il Premio Spazio Scuole (studenti in sala) va a pari merito La Marche e a Ni Sisi (prima visione nazionale) di Nick Reding.
Infine, il Premio Giuria del Carcere è stato aggiudicato al lungometraggio O espinho da rosa (prima visione nazionale) di Filipe Henriques.

[Leonardo De Franceschi]

Karawan: il sorriso del cinema migrante

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Dal 26 al 30 novembre torna a Roma, nel quartiere di Tor Pignattara, Karawan, il festival che gioca con i luoghi comuni e che (si) diverte cambiando continuamente prospettiva. Il festival si tiene - con ingresso a sottoscrizione - presso l'ex aula consiliare del Municipio, in Via dell'Acqua Bullicante, 2.

Nato nel 2012, Karawan è il primo festival di cinema che, come spiegano gli organizzatori. affronta i temi della convivenza, dell'identità, dell'incontro tra culture in tono programmaticamente non drammatico, partendo dalla convinzione che il sorriso sia il terreno d'incontro naturale fra le diverse culture del mondo, il “luogo” ideale in cui scompaiono le differenze e ci si riscopre umani: "Niente è più rivoluzionario di una risata. Niente è più democratico del sorriso. Niente è più sovversivo della commedia".

Dalla Cina al Brasile passando per il Bangladesh, l'Azerbaijan, la Costa d'Avorio, la Palestina e il Rwanda, Karawan propone un viaggio ai confini del mondo che non a caso parte da Tor Pignattara, popolare quartiere romano divenuto negli ultimi anni il cuore più internazionale della Capitale, con numerose comunità straniere residenti che ne fanno una sorta di piccola “Babele” a un passo dal centro storico.

Una collezione di opere vibranti, che pur cambiando registro dalla black comedy al ritratto intimista, passando per la fiaba avventurosa e la corale saga familiare, restituisce l'immaginario di un'umanità che non vuole rinunciare a sorprendersi, divertirsi, ricominciare. Opere che senza distogliere lo sguardo da alcune delle questioni più controverse e irrisolte dei nostri tempi (dal conflitto israelo-palestinese, al genocidio in Rwanda degli anni Novanta, alla cosiddetta “questione femminile”) le attraversano con una leggerezza di tocco che non è disimpegno ma rivendicazione di un modo nuovo di guardare il mondo, un richiamo alla partecipazione.

Karawan inoltre lavora sul recupero degli spazi per restituire al quartiere di Tor Pignattara il cinema di cui è orfano da oltre trent'anni. E così, schermo e proiettore in spalla, gli organizzatori se ne vanno a caccia di spazi abbandonati, e li trasformano, per una o più sere, in luoghi in cui le persone possano re-incontrarsi e godere del rito collettivo dello schermo cinematografico illuminato.
Stavolta è toccato ad un'ex-aula consiliare del Municipio, recentemente messa a disposizione delle associazioni del territorio per riunioni ed eventi, ma a farci un festival di cinema ancora non c'aveva pensato nessuno.

Tra i film in programma anche due dal continente africano, in programma venerdì 28 e sabato 29 alle 21.30:

venerdì 28 novembre

21.30_SWEET DREAMS | anteprima romana
di Lisa e Rob Fruchtman (Rwanda / USA, 2012, 84')
Versione Originale: Inglese, Kinyarwanda | Sottotitoli: Italiano
Il Ruanda ha fatto grandi passi avanti nella ripresa economica dopo il genocidio devastante del 1994, ma “le persone non sono come le strade e gli edifici”, dice Kiki Katese, pionieristica regista teatrale ruandese. “Come facciamo a ricostruire un essere umano?” Kiki ha deciso di iniziare Ingoma Nshya, prima e unica orchestra di percussioni costituita da donne ruandesi, aperto alle donne da entrambi i lati del conflitto. Eppure, la lotta per sopravvivere e provvedere alle loro famiglie persiste. Così, quando Kiki si avvicinò con l'idea di aprire la prima e unica gelateria del Ruanda, le donne erano incuriosite. Che cosa esattamente era il gelato e il modo in cui viene fatto? Kiki ha invitato Jennie e Alexis della Blue Marble Ice Cream di Brooklyn chiedendo loro di venire in Ruanda per aiutare le percussioniste ad aprire il loro negozio. Il film segue questo straordinario gruppo di donne che vengono dalla devastazione per creare un futuro di speranza e opportunità per se stesse.

sabato 29 novembre

21.30_AYA DE YOPOUGON | anteprima romana [nella foto]
di Clément Oubrerie e Marguerite Abouet (Costa d'Avorio / Francia, 2013, 88')
Versione Originale: Francese | Sottotitoli: Italiano
Animazione che nasce da una graphic novel di grande successo, una coloratissima commedia vitale, vibrante e originale – con irresistibile colonna sonora groove – di amori non corrisposti, tradimenti, gag, equivoci e bugie. Costa d'Avorio, fine anni '70, anni della spensieratezza: Aya, 19 anni, vive a Yopougon, quartiere popolare d'Abidjan. A differenza delle sue due amiche, che non pensano che a divertirsi la notte nei maquis e a sedurre i buoni partiti, Aya preferisce stare a casa a studiare e sogna di diventare medico. Attorno a loro si incrociano altri personaggi divertenti, come il padre donnaiolo di Aya, il figlio di papà Moussa, le mamme che cercano di proteggere le loro figlie scatenate e Gregoire detto il “parigino”…

Per il programma completo, vai sul sito di Karawan:
http://www.karawanfest.it/karawan-programma/karawan-il-sorriso-del-cinema-migrante/

L'Africa non pervenuta al Torino FilmFest

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Dal 21 novembre è in corso la 32ma edizione del Torino Film Festival, diretta da Emanuela Martini. Proiezioni, incontri ed eventi si susseguiranno fino al 29. Il cambio di gestione - ma Paolo Virzì rimane "guest director - non ha aperto spiragli significativi all'Africa e alle sue diaspore, né dietro né davanti alla cinepresa, né nella stanza dei giurati.

Poco o nulla da segnalare allora. Ci preme sottolineare nella competizione documentari Branco sai preto fica (Fuori i bianchi, dentro i neri), presentato come un interessante esperimento di cinema del reale con innesti di fantascienza distopica: il contesto è quello di un Brasile violento in cui la polizia infierisce con violenza in una festa da ballo frequentata da soli neri, producendo gravi lesioni a due uomini. La regia è dell'ex-calciatore Adirley Queirós.

Nella sezione corti, spazio a un giovane filmmaker torinese d'adozione e di origini costaricane, Guido Nicolás Zingari, che gira in un villaggio dell'entroterra togolese Il mare una storia di piccola speranza nel futuro che passa per la scuola, protagonista un giovane di ventiquattro anni che si misura con l'esame di terza media.

[Leonardo De Franceschi]

Noi, domani al Cinema Trevi

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Dopo i due grandi appuntamenti di “Nuovi italiani, da migranti a cittadini” e “L'Africa in Italia”, torniamo ad occuparci per l'appuntamento di Cinemafrica in Cineteca al Cinema Trevi-Cineteca Nazionale di cinema italiano e migrazione, anche se forse è il giunto il momento di parlare più correttamente di cinema della convivenza, visto che, nel cinema come nella società italiane, cittadini italiani e cittadini di origine straniera convivono in realtà da decenni, in maniera più o meno visibile, più o meno rimossa.
L'Italia è un paese profondamente mutato negli ultimi trent'anni: è divenuto, ed ha scoperto di essere divenuto, un paese di immigrazione e un paese di “seconde generazioni”, di “nuovi italiani”, di “nuovi cittadini”.

In questo nuovo viaggio nel cinema italiano, ci muoviamo dal 2004, anno del poco noto Sotto il sole nero per arrivare al 2011/2012 di grandi rivelazioni come Io sono Li e Italian Movies, passando dalla riuscita sperimentazione dall'invisibile italiano Et in terra Pax, con Germano Gentile, attore black italian diplomatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia. Un'occasione per (ri)vedere anche operazioni interessanti come quella di Ricky Tognazzi in Il padre e lo straniero, che mescola un cast internazionale (gli italiani Alessandro Gassmann e Leo Gullotta, l'egiziano Amr Waked, l'attrice e regista libanese Nadine Labaki) ed esordi convincenti e riusciti come quello di Paola Randi nel suo Paradiso abusivo e meticcio sui tetti di Napoli, Into Paradiso.

Qui di seguito il programma completo.

Sabato 29

ore 17
Il padre e lo straniero di Ricky Tognazzi (2010, 113')
Diego, funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, è padre di un bambino che ha un grave handicap. Questa sua condizione lo porterà a stringere una forte amicizia con Walid, un elegante e misterioso uomo mediorientale che, come lui, ha un figlio malato. «Due padri, il romano Gassman e il siriano Amir Waked, uniti dal dolore di figli disabili, sono i motori di un thriller (dal libro di De Cataldo) dove tutto è improbabile ma nel film di Tognazzi lo scarto di surreale non sempre riempie i tasselli di emozioni, pensieri in libertà emotiva vigilata. Recitata bene anche da Ksenia Rappaport, la Labaki (regista di Caramel) e Gullotta, la storia ha tre anime, coscienza alla Graham Greene, quella di Hitchcock che sapeva troppo e infine un sospetto kafkiano» (Maurizio Porro).

ore 19
Et in terra pax di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini (2010, 89')
«Non è un film sul disagio della periferia romana, o per lo meno lo è solo in parte. Abbiamo scelto di soffermarci sulla psicologia dei personaggi più che sul degrado, sulla disperata ricerca di una direzione da seguire più che sulle ragioni sociali dell'emarginazione. La borgata è il teatro di vicende in cui divengono lampanti da una parte le contraddizioni dell'essere umano e, dall'altra, i rabbiosi istinti di sopravvivenza e la volontà di riscatto. Nel tratteggiare questa storia abbiamo evitato di esporre giudizi o critiche: risulterebbero quanto mai inutili. Abbiamo cercato invece di rappresentare una parte di questa realtà ora mescolando semplici fatti di cronaca, ora dando un valore quasi sacro alle gesta di individui comuni» (Matteo Botrugno e Daniele Coluccini).

ore 21
Io sono Li di Andrea Segre (2011, 96') «Cambiare Paese è anche sperimentare letteralmente questo spaesamento, fare esperienza di morte e (forse) rinascita, è la quotidianità purgatoriale – in certi momenti infernale – del viaggio: andare concretamente al di là (ma il bar dove la donna serve si chiama Paradiso…). E Segre, già abituato a documentare questo trapasso nella sua attività di film maker, qui riesce a non ridurre il dramma alla mera cronaca, a trascendere una denuncia per quanto necessaria del reale, e con sensibilità misurata e visione personale – di cui la par condicio dialettica (veneto e cinese come lingue ugualmente straniere) è soltanto un indizio rivelatore – descrive la potenza incandescente dell'incontro, la forza scandalosa dello sguardo, la poesia come materia che arde. […] Come fiamme nell'acqua, persistenti e labili, trascinate da derive inattese, gli uomini e le donne che si salvano reciprocamente con il candore della parola e lo scandalo dell'amore offrono un esempio assoluto di resistenza alla grettezza della società (…)» (Matteo Columbo).

Domenica 30

ore 17
Sotto il sole nero di Enrico Verra (2004, 93')
«L'idea del film è nata anni quando ho girato tra via Nizza e piazza Madama Cristina il corto Benvenuti in San Salvario. In questa zona trovai infatti una miniera di storie, grandi tragedie e piccole commedie, meritevoli di esser portate sullo schermo: Sotto il sole nero è un collage di questi racconti, che si intrecciano nell'ora e mezza di immagini. […] Detesto il razzismo e il facile buonismo, questo film non intende dare messaggi. L'obiettivo principale del mio lavoro è filmare le situazioni, senza giudicarle, in quanto tocca allo spettatore dare un giudizio su ciò che vede. Per me fare cinema significa mostrare i fatti e lasciare al pubblico il compito di giudicarli. Il mio scrupolo è stato di avere uno sguardo il più possibile onesto su ciò che inquadravo» (Enrico Verra).

ore 19
Into Paradiso di Paola Randi (2010, 104') «Che cosa ci fanno insieme uno scienziato che ha appena perso il lavoro, un ex-campione di cricket venuto dallo Sri Lanka a Napoli per fare il badante, un politico colluso e corrotto, più un imprecisato numero di killer della camorra in cerca di una pistola che scotta? Semplice: danno vita alla commedia più insolita, strampalata e sofisticata vista da molto tempo in qua nel nostro cinema: Into Paradiso dell'esordiente Paola Randi, 40enne milanese che viene da pittura, teatro e videoarte. Insolita per l'ambientazione (...). Strampalata perché cala situazioni classiche (...) in mondi di grande esuberanza espressiva (...). Sofisticata perché su questo impianto non inedito innesta un gusto delle psicologie, dell'ambientazione, dei dettagli, ovvero una quantità di idee visive e di racconto, forse unica per il nostro cinema» (Fabio Ferzetti).

ore 21
Italian Movies di Matteo Pellegrini (99', 2012) «Matteo Pellegrini […]di doti ne ha messe in campo parecchie in questo Italian movies, commedia sì ma interculturale e transnazionale, che gioca il gioco delle differenze non solo con rispetto (e già questo in Italia è merce rara...), ma anche con gusto, intelligenza, sensibilità. […] Il cinema allora come momento di riscatto di una gioventù transnazionale, nomadica, marginale, con mille storie di sofferenza e speranza che cercano solo uno scatto? Ma sì, Italian movies racconta anche del potere virale delle immagini nel XXI secolo, di come davanti a una videocamera ci si possa reinventare, in un rito di autorappresentazione che è ludico e catartico, mistificatorio e liberatorio insieme» (Leonardo De Franceschi).

Info:
Cinema Trevi - Cineteca Nazionale
Vicolo del Puttarello 25 (Fontana di Trevi)
Tel. 06 6781206

Ingresso: 4 euro
Ridotti (studenti, over 65, bibliocard): 3 euro
Abbonamento (10 ingressi): 20 euro

La scuola più bella del mondo

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Ci abbiamo messo un bel po' a recensire La scuola più bella del mondo, ultimo hit Cattleya firmato da quel Luca Miniero che ha fatto del gioco sugli stereotipi una vera, potente ed efficace macchina da guerra. Uscito il 13 novembre, il film ha portato a casa già oltre 4 milioni e 300 mila euro ma non sembra avviato a ripetere gli exploit di Benvenuti al sud e Benvenuti al nord. Tuttavia, dopo alcuni settimane di riflessione, ci è parso opportuno dire la nostra su una commedia che rimesta in modo assai discutibile nelle torbide acque di un immaginario che, dal dibattito politico ai media, colpisce il capro espiatorio di turno, accanendosi spesso e volentieri con migranti e rifugiati in provenienza dallo scacchiere africano.

Benvenuta Africa, campeggia scritto sullo striscione variopinto fatto allestire dalla scuola media di San Quirico d'Orcia dallo zelante preside Filippo Brogi (Christian De Sica), che si aspetta di veder spuntare dalla curva una simpatica classe di “negretti” ghanesi, nell'ambito di uno scambio culturale sponsorizzato da un sindaco locale del PD. Di nero ce n'è uno solo, il piccolo Cuono (Victor Edet), ma anche lui, come tutti gli altri, vengono non da una scuola di Accra bensì da una di Acerra, in provincia di Napoli, capitanati dai prof. Gerardo Gergale (Rocco Papaleo) e Wanda Pacini (Angela Finocchiaro). L'errore si deve all'imperizia di un bidello (Nicola Rignanese) semianalfabeta e naturalmente meridionale anche lui. La razzializzazione dei napoletani e l'assimilazione dei meridionali in genere agli africani richiama sì una tradizione popolare di longue durée, ma poggia anche su una letteratura critica molto accreditata, esemplificata dagli scritti di Alfredo Niceforo, che già a cavallo tra Otto e Novecento discettava sull'esistenza di due razze, “italiani del nord” e “italiani del sud”, come ci ha ricordato di recente Gaia Giuliani in un suo studio.

E sì che il preside l'aveva proprio studiata bene per vincere la gara locale per la migliore scuola dell'anno. L'aveva detto alla sua professoressa preferita, la giovane, bella e zelante Miriam Leone (Margherita Rivolta): cerchiamoli poveri, magri e con la mosca al naso, come nelle migliori campagne delle ONG. Avevano provato a lungo con la classe una canzonetta pietosa in stile, rispolverando in alternativa un classico del razzismo da balera come Bongo bongo bongo, portata al successo nel 1947 da Nilla Pizzi, da un originale inglese, e già cantata peraltro da De Sica nel 1994.
Naturalmente i ragazzini campani non ci stanno e reagiscono mettendo a soqquadro la festa dell'accoglienza. Il preside Brogi prova inutilmente a sondare la disponibilità del sindaco, che tiene come lui ad aggiudicarsi la gara locale per la migliore scuola dell'anno e non vuole saperne di ragazzini napoletani tra i piedi. Dovrà quindi guadagnare tempo e tenere botta come può, fino al punto di chiedere a professori e ragazzi ospiti di travestirsi davvero “da africani”, con tanto di gonnellini, parrucche ricce e cerone nero sul viso, in puro stile da musical in blackface primi anni Trenta, contaminato in chiave pop e hip hop da una rivisitazione di “Curre curre guagliò” dei 99 Posse che meriterebbe un ricorso alle vie legali.

Verrebbe da chiedersi, molto semplicemente, cosa ci sia da ridere, a vedere il piccolo Cuono con la faccia sporca di vernice bianca, dopo una caduta fuoricampo in bicicletta, mentre il professor Papaleo lo esorta ad andarsi a lavare "ché non ti posso vedere bianco". E sì che Miniero e i suoi due sceneggiatori ci hanno provato a disinnescare il meccanismo, inventandosi un'insistita gag metacritica nella quale lo stesso Papaleo ricorda all'avvenente ma rigida maestrina toscana che quando parla lui bisogna ridere perché“è una battuta”. E tanti ci saranno pure cascati, vedendo ragazzini del nord e del sud ballare scatenati sulle notte di “Curre curre guagliò”, nello scambiare La scuola più bella del mondo per un film autenticamente progressista, che cavalca sì tutti gli stereotipi del caso, si esalta sì a celebrare il politicamente scorretto, ma alla fine con due balletti, un dolly e un filo di cerone mette d'accordo tutti.

Ci troviamo invece davanti a un film costruito a tavolino con un'abilità davvero inquietante per la capacità di offrire allo spettatore di ogni nicchia sociopolitica esattamente quello di cui ha bisogno, oltre al divertimento, ça va sans dire. Se sotto sotto simpatizza per le squadracce leghiste e di Forza Nuova troverà pane per i suoi denti, ritrovandosi paro paro un immaginario razziale e coloniale vecchio di cinque secoli, per dirla con Nicola Labanca. Se invece dovesse avere simpatie radicali, basterà qualche faccia da Rai Tre, qualche nota da centro sociale e qualche battuta contro il PD per “intortarlo” alla grande. Ma non è una cosa seria? Penso esattamente il contrario, e cioè che bisognerà attrezzarsi se vogliamo contrastare la marea montante di violenza simbolica che scatenano film come La scuola più bella del mondo e Tutto molto bello, buttando in commedia rituali di costruzione e cancellazione dell'altro che in questo momento producono scariche ancora più aberranti di violenza materiale e fisica, nelle strade delle nostre città.

Leonardo De Franceschi

La scuola più bella del mondo
Regia: Luca Miniero; sceneggiatura: Daniela Gambaro Massimo Gaudioso, Luca Miniero; fotografia: Federico Angelucci; musiche: Paolo Buonvino, Santi Pulvirenti; montaggio: Giogio' Franchini; costumi: Eleonora Rella; scenografia: Monica Vittucci; interpreti: Christian De Sica, Rocco Papaleo, Lello Arena, Miriam Leone, Angela Finocchiaro, Nicola Rignanese, Ubaldo Pantani, Victor Edet; origine: Italia, 2014; formato: HD/DCP, 1.85, Dolby Digital; durata: 98'; produzione: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz e Giovanni Stabilini per Cattleya; distribuzione: Universal Pictures International; sito ufficiale: lascuolapiubelladelmondo.libero.it

The Wound premiato al Torino Film Lab

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Il TorinoFilmLab Meeting Event, svoltosi dal 24 al 26 novembre nell'ambito del Torino Film Festival, ha presentato nel programma FrameWork nove progetti in cerca di co-produzione. La giuria internazionale presieduta da Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino e direttore della Mostra del Cinema di Venezia, e formata da Álvaro Brechner, Doreen Boonekamp, Marta Donzelli, Sophie Mas ha assegnato tre Production Awards (per un totale di 160.000 euro).

Fra i tre selezionati, spicca The Wound del sudafricano John Trengove, già premiato per la miniserie Hopeville e in concorso alla Berlinale col corto iBhokhwe. The Woundè un progetto di lungometraggio che, partendo dal tema del rituale di circoncisione ukwaluka, ancora diffuso presso l'etnia Xhosa, affronta la questione di stringente attualità dell'omofobia, sollevata da discussi provvedimenti legislativi in Uganda e in Zimbabwe.
Secondo il regista, «l'iniziazione viene vista come l'unico sistema in cui un ragazzo Xhosa può legittimamente passare alla condizione adulta. Si ritiene che, tra le altre cose, il rituale “curi” un iniziato dal desiderio omosessuale. Nella cultura Xhosa (come in molte culture tradizionali africane) l'omosessualità può essere tollerata nell'adolescenza ma non nell'età adulta».

[Leonardo De Franceschi]

JCC. Verso la ripresa

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Sabato 6 dicembre, con la consegna dei premi al Théâtre Municipal di Tunisi, si sono chiusi i lavori delle 25me Journées Cinématographiques de Carthage, “madre” di tutti i festival dedicati alle cinematografie d'Africa e dei paesi arabi, a pochi giorni da quelle elezioni presidenziali che hanno segnato una nuova tappa nella lunga marcia del popolo tunisino verso la democrazia. Si è trattata di un'edizione fortunata per la Palestina, che si è portata a casa due dei tre premi principali, seducendo giuria e pubblico specialmente con Omar di Hany Abu Assad, già apprezzato all'ultimo festival di Cannes. Dal palmarès escono bene però anche la Tunisia delle nuove leve al femminile, che pure aveva solo un film in competizione ufficiale lunghi (Kaouther Ben Hnia ha avuto il Tanit d'Oro nella sezione corti e Hamza Ouni quello di bronzo nel concorso doc) e l'Algeria (L'Oranais di Salem ha vinto il premio per il miglior attore, il veterano Khaled Benaïssa e il Tanit di bronzo nella sezione corti). Come da tradizione, le cinematografie subsahariane sono sempre un po' in ombra: tuttavia, gli ultimi, pluripremiati, lavori di Dyana Gaye (Des étoiles) e Dieudo Hamadi (Examen d'État) hanno convinto anche i giurati delle JCC.

Tra gli altri film in competizione, sono rimasti a bocca asciutta registi affermati come il burkinabè Dany Kouyaté (Soleil) e l'egiziano Ahmed Abdalla (Décor), che poco hanno coinvinto evidentemente la giuria, composta quest'anno da personalità di primo piano come Danny Glover, i registi Selma Baccar (Tunisia), Moussa Touré (Senegal) e Nadir Moknèche (Algeria) e l'attrice egiziana Mena Shalaby.
Ispirato al modello del veneziano Final Cut e di altri premi per la postproduzione di film, l'Atelier Takmil (“completamento”, in arabo) ha visto sfilare nove progetti di lungometraggio, da diversi paesi dello scacchiere africano: L'Oeil du Cyclone di Sékou Traoré (Burkina Faso), The Revolution Won't Be Televised di Rama Thiaw (Senegal), gli egiziani In The Last Days Of The City di Tamer El Saïd e Little Eagles di Mohamed Rashad, e ben tre titoli tunisini, The Dead Can't Vote di Sarra Abidi, La Fille du 8 janvier di Marouane Meddebet ed El Medestansi di Hamza Ouni. L'atelier ha organizzato anche una tavola rotonda sulla distribuzione e la visibilità dei film arabi e africani in Europa, un incontro promosso dalla Fédération panafricaine des cinéastes (Fepaci) e dal Fonds panafricain du cinéma et de l'audiovisuel (Fpca) e un forum voluto dal programma Euromed e dall'Unione Europea.

Ecco il palmarès ufficiale:

Su 12 films selezionati nel concorso cortometraggi tunisini, sono stati premiati:
Pousses de printemps d'Intissar Belaid (1° Premio)
Abderrahman, di Elias Sfaxi (2° Premio),
Boubarnous, di Badi Chouka (Premio TV5 Monde),

Su 19 lungometraggi nel concorso documentari, sono stati premiati:
Tanit d'Oro: The Wanted 18, di Amer Shomali e Paul Cowan (Palestina)
Tanit d'Argento: Examen d'État, di Dieudo Hamadi (RDC)
Tanit di Bronzo: El Gort, di Hamza Ouni (Tunisia)
Menzione speciale: Nelson Mandela: The Myth and Me, di Khalo Matabane (Sudafrica)

Sui 16 film della competizione corti, sono stati premiati:
Tanit d'oro: Peau, di Colle de Kaouther Ben Hnia (Tunisia)
Tanit d'Argento: Madama Esther, di Luck Razanajaona (Madagascar)
Tanit di Bronzo: Les Jours d'avant, di Karim Moussaoui (Algeria)

Sui 15 lungometraggi in lizza per la sezione principe, il concorso lungometraggi, hanno ricevuto premi:
Tanit d'Oro: Omar, di Hany Abu Assad (Palestina)
Premio Speciale della Giuria: Des étoiles, di Dyana Gaye (Senegal)
Tanit d'Argento: C'est eux les chiens, di Hicham Lasri (Marocco)
Tanit di Bronzo: Before Snowfall, di Hisham Zaman (Irak)
Premio del pubblico: Omar, di Hany Abu Assad (Palestina)
Migliore sceneggiatura: Omar, di Hany Abu Assad (Palestina)
Miglior attore: Khaled Benaïssa per il suo ruolo in L'Oranais, di Lyes Salem (Algeria)
Premio della giuria giovane: Omar, di Hany Abu-Assad (Palestina)


Neve

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Il 9 dicembre è stata inaugurata la XXIV edizione del Courmayeur Noir In Festival. Durante la precedente edizione del Festival è stato selezionato per il Concorso l'ultimo film diretto da Stefano Incerti, Neve. Dopo un anno dalla presentazione al festival, grazie alla Microcinema Distribuzione Neve esce finalmente nelle sale cinematografiche. Dopo quattro anni dal successo di Gorbaciof con Toni Servillo, Incerti torna nelle sale con un film di genere, un noir ambientato per evidente e dichiarato contrasto in un paesaggio innevato, silenzioso e rarefatto. La storia ruota attorno all'incontro di due personaggi che sono contemporaneamente in cerca di qualcosa e in fuga da qualcosa. Roberto De Francesco e Esther Elisha sono gli attori scelti da Incerti per interpretare i due ruoli principali.

Un uomo in macchina in una strada di montagna innevata s'imbatte in una donna che esce urlando da una macchina e viene lasciata in strada. L'uomo si chiama Donato sta cercando qualcosa, ma non si capisce cosa, la donna si chiama Norah e scappa da qualcosa. Donato decide di aiutare Norah e di portarla al paese più vicino. Si salutano ma poco dopo Donato ritrova la ragazza in auto. Norah riceve continui messaggi di minaccia dall'uomo che l'ha lasciata per strada, mentre Donato segue delle tracce alla ricerca di una refurtiva abbandonata. Le vite dei due personaggi si sono incontrate casualmente in un momento in cui sia Norah che Donato sono spinti da una forza di cambiamento.

Incerti ha dichiarato che Neveè nato dalla suggestione di fare un noir ambientato nel'accecante candore di un paesaggio completamente imbiancato dalla neve. Il film procede con lunghi silenzi, pochi dialoghi ben soppesati. Tutto si muove attraverso gli sguardi e il non detto. Il silenzio del paesaggio carica di tensione i vari passaggi del film che si svolgono in gran parte all'interno dell'automobile di Donato. Luogo chiuso e claustrofobico da un lato, spazi aperti e paesi semidisabitati all'esterno: questo è il mondo sospeso nel quale Norah e Donato s'incontrano e provano a cambiare le rispettive vite.

Neve è un film che si basa fortemente sui due protagonisti e la loro complicità che è stata creata da Incerti e Fogli anche attraverso un lavoro di riscrittura del testo proprio con gli attori. Per la prima volta vediamo Esther Elisha, attrice bresciana nata da padre originario del Benin e da madre italiana, in un ruolo da protagonista per il quale non hanno importanza le sue origini afroitaliane. L'attrice stessa parlando di questo ruolo in conferenza stampa ha dichiarato che per lei era importante che il suo personaggio fosse quello di una donna italiana.

Incerti ha scoperto Esther Elisha dopo aver visto Là-Bas – Educazione criminale di Guido Lombardi e con Neve le ha dato la possibilità di mostrare “la molteplicità di ruoli che possono fare in quanto donne afroitaliane”. Un aspetto fondamentale per l'attrice che emerge anche in una scena del film quando un uomo in un hotel controllando il documento di Norah si stupisce che sia italiana.

La coppia Elisha/De Francesco trova un equilibrio e un fascino nei due diversi approcci alla vita, quello di un uomo composto e lacerato dal dolore che vuole riscattare la sua triste esistenza, e quella di una donna fragile ma molto più smaliziata e abituata a un'esistenza burrascosa che al contrario vorrebbe una vita “normale” e serena.
Dolore, violenza, illusione, disillusione, speranza e tristezza sono gli elementi che compongono Neve, un noir dove il silenzio delle montagne investe l'angoscia delle vite di Donato e Norah.

Alice Casalini

Neve
Regia: Stefano Incerti; sceneggiatura: Patrick Fogli, Stefano Incerti; fotografia: Pasquale Mari con Daria D'Antonio; suono: Emanuele Cecere, Francesco Sabez; montaggio: Dario Incerti; scenografia: Renato Lori; costumi: Ortensia De Francesco; interpreti: Roberto De Francesco, Esther Elisha, Massimiliano Gallo, Antonella Attili, Angela Pagano; origine: Italia, 2013; formato: Digital Cinema 2K 24FPS; durata: 90'; produzione: Eskimo; distribuzione: Microcinema Distribuzione; sito ufficiale: microcinema.eu/it/film/prossimamente/neve.htm

Il ricco, il povero e il maggiordomo

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Dall'11 dicembre è in sala Il ricco, il povero e il maggiordomo, nona fatica del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, stavolta accompagnati in cabina di regia da Morgan Bertacca, già autore della versione per il grande schermo dell'ultimo spettacolo portato in tour dal trio, Ammutta muddica. Uscito in quasi 600 copie, il film deve confrontarsi con i record al box office stabiliti dalle opere precedenti: l'ultimo, La banda dei babbi Natale, uscito nel 2010, ha totalizzato poco meno 25 milioni di euro.
Tutto questo, tuttavia, interessa relativamente poco, almeno a noi. Se stiamo dedicando spazio a questo film su Cinemafricaè perché siamo stati richiamati in sala dal trailer, che dava massimo rilievo a una sequenza con Aldo venditore ambulante in blackface.

Nel film, Aldo interpreta appunto un ambulante, che vive a Milano con la madre vedova e insegue il sogno di una bancarella tutta sua ma nell'attesa di realizzarlo si arrangia a vendere merce, truccato da nero insieme a due africani doc. Un giorno la sua vita cambia. Inseguito dai vigili, viene investito da Giovanni, maggiordomo del rampante broker Giacomo, e subito portato nella sua ricca villa fuori città. Aldo accetta mille euro di risarcimento per l'incidente ma viene rimandato all'indomani per l'incasso, prendendosi i soliti insulti dalla madre, che lo considera un inetto e minaccia quotidianamente di suicidarsi. Lo stesso giorno, Giovanni si trova messo alle strette dalla cameriera Dolores, determinata a farsi impalmare dal maggiordomo, dopo due anni di attesa.

Se non che l'indomani, a causa di un colpo di stato in un remoto paese africano, sui cui fondi sovrani aveva investito tutti i suoi soldi (e quelli, pochi, di Giovanni), Giacomo si ritrova di colpo sull'orlo del fallimento. Ex-ricco ed ex-maggiordomo sono costretti a trasferirsi a casa del povero, assediato dalle donne ma bloccato dallo shock dell'abbandono da parte della fidanzata sull'altare, e legato a una squadretta sfigata di calcio di ragazzini dell'oratorio. Riusciranno i nostri (nostri? diciamo loro) eroi a rialzare le proprie fortune economiche e sentimentali, rimettendosi dal dissesto (Giacomo), recuperando l'amore di Dolores (Giovanni) e risolvendo i problemi con le donne (Aldo)? La soluzione sta nelle mani di quest'ultimo, chiamato a sedurre, nei panni di un improbabile petroliere azero, la banchiera Francesca Neri.

Intendiamoci, Aldo in blackfaceè questione che il film liquida in cinque minuti, vale a dire la sequenza d'apertura, in cui Baglio spaccia per vitiligine la sua bianchezza delle mani con due mature avventrici e scambia una battuta con i due compari neri di bancarella, per essere poi messo in fuga dai vigili e finire sotto la macchina che sappiamo. Chissà perché nei credits compare solo un nome africano, Abdoulaye Ndiaye, nel ruolo di un fantomatico personaggio dal nome Babatunde. Fatto sta che entrambi i neri altro non sono che figuranti, ma li ritroviamo, singolarmente, nella sequenza finale della cerimonia in cui tutti i nodi si sciolgono felicemente come da tradizione, accompagnati dalle rispettive consorti. Ci sono altre facce lontane dall'idealtipo italiota nella sequenza finale, in particolare alcuni bambini della squadretta allenata dal mister Aldo, tra cui un improponibile bomber chiamato Cina, un pickaninny chiamato simpaticamente Cioccoblocco, oltre naturalmente a Dolores, caliente latina spitfire, accompagnata da un coro mariachi che sembra uscito da uno spot d'antan di EstaThè.

Ridono e battono le mani, Babatunde (corpo senza personaggio), il suo compare di fenotipo (corpo senza nome) e tutti gli altri membri di questo scombiccherato team che riempie la sequenza di chiusura - United Colors of Minority. Felici e soddisfatti da questa rassegna di piccole e meschine facezie, che da una sovversione pigra e scontata del politicamente scorretto vira bruscamente nel finale a un ecumenismo clericale e doroteo da fiction Rai Uno prime time. Felici e soddisfatti, perché anche loro sono stati inclusi nel teatrino felice di questa Italietta del cinema che gioca a vivere la crisi nell'unico modo, imbarazzante, che conosce. Felici e soddisfatti, perché alla fine è vero o no che si divertono pure loro a vedersi simpaticamente alterizzati, minorizzati e sbeffeggiati da un riso che, fatta la tara dai riverberi di un illusorio carosello di segni, colpisce sempre gli stessi?

Perché stracciarsi le vesti davanti a un razzismo rappresentazionale percepito dai più come “a bassa intensità”? Forse qualche leader del Burgundi potrà risentirsi dall'essere accostato a un colpo di stato con successivo default finanziario? Che problema c'è a ridisseppellire un piccolo classico della canzone meneghina come VacaPutanga di Walter Valdi («In d'ona foresta del Centro Katanga/ gh'era la tribù dei Vacaputanga./L'era ona tribù de negher del menga,/ grand e ciula e ballabiott», per citare il poeta)? Chi si risentirà mai dall'evocazione di una delle forme più originali del teatro statunitense, il minstrel show, che tanto ha allietato per decenni suprematisti, sostenitori del KKK e nostalgici del vecchio sud schiavista? Non lo ha fatto forse pure Luca Miniero, in un film uscito appena un mese fa?

Infatti i primi a ridere sono i negretti dell'iconografia blackface, che per definizione ridono sempre e battono le mani, felici e soddisfatti.

Leonardo De Franceschi

Il ricco, il povero e il maggiordomo
Regia: Aldo, Giovanni e Giacomo e Morgan Bertacca; sceneggiatura: Aldo, Giovanni e Giacomo, Valerio Bariletti, Morgan Bertacca, Pasquale Plastino; fotografia: Giovanni Fiore Coltellacci; scenografia: Eleonora Ponzoni; costumi: Patrizia Chericono; montaggio: Luigi Mearelli; musiche originali: Marco Sabiu, Charlie Rapino; suono in presa diretta: Tiziano Crotti; interpreti: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Giuliana Lojodice, Guadalupe Lancho, Sara D'Amario, Massimo Popolizio, Rosalia Porcaro, Francesca Neri; origine: Italia, 2014; formato: HD DCP; durata: 102'; produzione: Paolo Guerra per Medusa Film - Agidi srl; distribuzione: Medusa Film; sito ufficiale: ilriccoilpoveroeilmaggiordomo.it

In uscita Neve, con Esther Elisha

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Giovedì 11 dicembre esce in 25/30 copie grazie a Microcinema, Neve, settimo lungometraggio di Stefano Incerti, a un anno dalla sua presentazione al Courmayeur Noir in Festival che è valso il premio per la migliore interpretazione al protagonista Roberto De Francesco. Noir "in bianco" dalle insolite ambientazioni provinciali, anomalo on-the-road intimista, segnato dall'onnipresenza della neve, il film ha come coprotagonista Esther Elisha (Là-bas. Educazione criminale), nei panni di Nora, una giovane donna legata a un malvivente.

Dopo Nottetempo, uscito ad aprile e Take five, in sala da ottobre, anche Neve conferma la crescita attoriale di un'interprete di sicuro talento, che ha costruito con pazienza e attenzione il suo percorso, partendo dall'Scuola d'Arte Paolo Grassi e alternandosi tra palcoscenico, grande e piccolo schermo. La aspettiamo in un ruolo verosimilmente più leggero, nella commedia Pizza e datteri, opera seconda di Fariborz Kamkari, regista curdo-iraniano, italiano d'adozione, autore de I fiori di Kirkuk (2010).

[Leonardo De Franceschi]

Ava DuVernay ai Golden Globe per Selma

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L'11 dicembre sono stati annunciate le candidature per i 72mi Annual Golden Globe Awards, suddivisi in ben 25 categorie. Tradizionalmente, i film selezionati si ritrovano in pole position per le nomination agli Academy Awards, che verranno annunciate ufficialmente il 15 gennaio. Tanto più suscitano clamore quindi le quattro candidature di Selma, diretto da Ava DuVernay, che uscirà negli States il 9 gennaio e arriverà anche da noi il 2 aprile.

Ambientato negli Stati Uniti nel 1965, durante la presidenza di Johnson, il film ripercorre la storica marcia della comunità nera della città di Selma per protestare contro gli abusi subiti dai cittadini afroamericani. Per la prima volta sul grande schermo la vita di Martin Luther King in un film in odore di Oscar, che vede attori di grande rilievo, a partire da David Oyelowo (Interstellar, The Butler), nei panni del leader nero. DuVernay ha esordito nel 2010 con I Will Follow e ha vinto nel 2012 per Middle of Nowhere il premio come miglior film drammatico al Sundance, prima filmmaker nera nella storia. Selmaè candidato ai Golden Globes come miglior film, miglior attore di film drammatico (David Oyelowo), miglior regista e miglior canzone ("Glory").

Per la cronaca, la lista dei candidati vede anche altri nomi di punta dello star system black american, come Quvenzhane Wallis (Re della terra selvaggia), che concorre come miglior attrice in una commedia/musical per Annie, mentre Viola Davis è candidata come migliore protagonista in una serie TV drammatica (How to Get Away with Murder) e Don Cheadle come miglior attore in una serie TV drammatica, per House of Lies.

[Leonardo De Franceschi]

A Rimini una mostra sul cinema ghanese

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Dal 13 dicembre all'8 febbraio la Fabbrica Arte Rimini ospita la mostra "Visioni dall'invisibile. Il cinema dipinto del Ghana". Si tratta di una serie di dipinti per il cinema eseguiti su juta grezza (materiale riciclato ed utilizzato in origine per il trasporto di farine) della collezione del Centro Studi Archeologia Africana (CSAA) di Luigi Pezzoli che ne cura anche l'esposizione. Le opere in mostra traggono ispirazione da un immaginario complesso e controverso derivante in particolar modo dal miscuglio di saperi animisti e influenze pentecostali. Le tele non rappresentano quasi per nulla i film indicati nei titoli ma esprimono liberamente l'immaginario locale.

Quella ghanese è un'industria del cinema nata tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, più o meno in parallelo alla più nota industria nigeriana (comunemente nota come Nollywood), che ha trasformato in modo consistente il panorama mediatico africano, facendo emergere giovani dai diversi background (ex teatranti, cineasti, professionisti licenziati dal settore televisivo, imprenditori attivi nel settore dell'elettronica e disoccupati), che si sono reinventati filmmaker, appropriandosi della tecnologia video per realizzare film low-budget, perlopiù d'azione, diretti all'eterogeneo pubblico delle masse urbane locali.

[Leonardo De Franceschi]

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